Francesca Schioppo ha partecipato al Corso 5km nell’autunno 2020. Ecco la sua testimonianza
Sette settimane fa ho ripreso a prendermi cura del mio corpo in modo serio. In questi ultimi 3 anni mi sono presa cura di tante cose, un po’ meno di lui, di me. È stata una mia scelta per carità, ma ogni scelta dà e prende.
Sette settimane fa ho iniziato il Corso di 5km. Quando l’ho raccontato qualcuno si è messo a ridere “un corso per imparare a correre?”. Sì. A me piacciono i corsi, mi catapultano nelle nuove vite meravigliose che incontro, e un po’ più a fondo nella mia. Oggi abbiamo raggiunto il nostro primo obiettivo, correre i 5km. Non è tanto per uno sportivo, ma per me che sono sempre principiante, sì.
Il punto non è questo però. Per me è importante ripartire da zero, ad un certo punto rimettermi in gioco dal principio per fortificarmi e non avere paura della coerenza con il mio sé.
Nel mio lavoro utilizzo molto uno strumento chiamato customer journey — il percorso dell’utente — per capire cosa sente un individuo quando avverte un bisogno, cosa vede, come si muove per soddisfarlo, cosa cerca, cosa prova e quali sono le sfide che incontra per riuscire nella sua impresa. Oggi mentre correvo ho iniziato a pensare alla corsa come una journey, l’utente ero io e questa è la mia mappa:
1° km: inizia l’avventura, so che voglio farcela ma non so cosa ci sarà lungo la strada. Sono contenitiva come un animale che si preserva e scandisco i passi per allinearmi al mio respiro.
2° km: gambe pesanti, i ‘terribili due’ esistono anche nella corsa dannazione!
3° km: al terzo km sono passata per un luogo, Piazzale Diaz, dove tre anni fa ho fatto la mia prima 5km alle 5 di mattina. Appena supero il terzo chilometro ho la certezza che non mi fermerò, eh no ora non posso più sarebbe un peccato a questo punto! È il momento marzulliano, inizio a parlare con me stessa.
4° km: al km 3.99 penso che potrò arrivare ovunque lo vorrò, 5-10-20… posso volare se mi impegno
5° km: fisso l’orologio e non c’è più il futuro. Mi godo il qui ed ora. Il fiato, l’assenza di fiato, l’aria ovunque!
Oggi era la mia prima 5km e il mio primo giorno di ciclo. Una carica di desiderio nelle fibre e una secchiata di stanchezza rovesciata addosso, un cortocircuito insomma. In altri tempi avrei rimandato la corsa ‘per farla meglio dopo il ciclo’. Ma il parkour mi ha insegnato l’adattamento continuo e reciproco, a disegnare il mio percorso e a disegnarlo ricorsivamente senza deludermi mai; a iniziare insieme e finire insieme, ma anche a prendermi il mio tempo. Oggi mi sono allenata con la mia femminilità, ascoltandola non proteggendola, facendo insieme quello che ci andava di fare, complici senza meglio e senza peggio. È stato bello. E pensare che l’iconografia mediatica del Parkour lo associa ancora ad uno sport da maschi.
Un altro sport che oggi mi ha aiutata a partire è stata la scherma. La scherma mi ha insegnato davvero tante cose, forse soprattutto ad avere il coraggio dell’intenzione: se vuoi partire (l’attacco) l’intenzione deve essere chiara, devi prendere il ferro dell’avversario chiaramente e fare quel primo passo marcatamente prima dell’altro schermitore, altrimenti la tua intenzione non sarà chiara all’arbitro. Comunica le tue intenzioni, per averle chiare a te. E poi la parata, il colpo fuori bersaglio, la mossa di ‘legare il ferro dell’avversario al tuo’ (non andarci contro), la pedana come spazio fisico e mentale in cui imparare a gestirsi e a muoversi. Come nella disciplina con cui lavoro ogni giorno, i vincoli stressano il processo creativo per ottenere risultati imprevedibili. (Conditional design)
Oggi ho corso con quello che ho imparato da tutte queste discipline, e con la consapevolezza che sto imparando dal mio primo corso di corsa. La corsa mi ha sempre accompagnata, senza troppe pretese, nei momenti in cui gridava in me il bisogno di muovermi ma anche quello di liberarmi dalle discipline, dal fuori confort, dagli altri me, un ritorno alla casa-base. Mi sta insegnando che il sentirmi confortevole è uno dei bisogni primari che devo ascoltare, mi riporta alla mia velocità, al mio passo, e in queste settimane mi ha svelato anche cosa vuol dire “avere l’amico con cui correre”, la ricerca che nel mio intimo ho iniziato da più tempo a questa parte. Mi apre ai fuori pista ed è stata la prima che mi ha suggerito l’idea di esplorare le città con il movimento.
Tutte queste discipline sportive mi allenano ogni giorno alla pazienza e al valore bellissimo di questo termine. Vorrei che negli incubatori di startup si parlasse più di pazienza che di determinazione, ma questa è un’altra storia.
Ps. Questa non è una chiamata alle armi contro i dpcm, non sopporto il dover sentir parlare dell’impedimento ad allenarci come di una limitazione alla libertà di movimento; penso che lo sport sia come un framework, un’architettura logica di supporto sulla quale progettiamo il nostro essere, composta da concetti, pratiche, rituali, principi e dalle relazioni tra essi. Chiudere palestre o limitare gli allenamenti all’esterno è qualcosa che possiamo affrontare proprio grazie a questa architettura costruita nel tempo, per questo l’educazione al movimento è importante e va incentivata negli ambienti educativi. Ma sempre proprio per questo è anche il miglior strumento mentale che abbiamo per essere adattivi e forti di fronte alle circostanze restrittive.
Cogliamo l’occasione per un cambiamento positivo! Grazie ai miei maestri che lo fanno con fermezza!
Francesca Schioppo