Nel 1972 la terza edizione della New York City Marathon iniziò con una protesta. Le cinque donne regolarmente iscritte, anziché partire, si sedettero. Era un piano che avevano organizzato insieme al patron della gara, Fred Lebow, per attirare l’attenzione dei giornalisti sulla regola ingiusta delle partenze separate. Nello stesso anno la AAU (Unione per Atleti Amatoriali) aveva allungato la distanza di corsa per le donne a dieci miglia (sedici chilometri) e alla maratona ma soltanto per “certe” donne (non meglio specificate). Per inaugurare la nuova regola quella primavera c’erano otto donne sulla linea di partenza della maratona di Boston, vinta ufficialmente da una certa Nina Kuscsik di New York. Avere il permesso di partecipare alla maratona non bastava, le atlete volevano essere considerate uguali e partire insieme agli uomini. Dopo una breve intervista con i giornalisti partirono per i quattro giri di Central Park, e Nina Kuscsik vinse di nuovo, questa volta nella sua città natale.
Era cresciuta a Brooklyn in una famiglia modesta. Da piccola non aveva mai fatto attività sportiva organizzata, soltanto molti giochi per strada come si usava fare a quei tempi. Palline e palloni, corde per saltare, gambe per correre. Una volta aveva sentito di un gruppo sportivo che permetteva alle ragazze di correre. Ma era nel Queens. I suoi genitori lavoravano e lei non aveva modo di arrivarci da sola.
A scuola era sveglia, guadagnando un anno alla scuola media e due al liceo, si è trovata con diploma in mano a sedici anni. Non ha perso tempo iscrivendosi subito alla scuola infermieristica di Brooklyn College, diventando una professionista a soli diciotto anni. Il suo primo lavoro fu all’ospedale di New York University, a Manhattan. Per risparmiare soldi andava in bicicletta. Con un tragitto di sedici chilometri risparmiava quindici centesimi che metteva da parte…diventando sempre più forte sulle due ruote. D’inverno aggiungeva il pattinaggio, un po’ per divertimento e un po’ perché aveva sentito che i ciclisti, spesso, pattinano per mantenersi in forma fuori stagione. Era diventata brava a pattinare, partecipando pure ai campionati nazionali. D’estate l’allenatore le faceva fare quello che lui chiamava “allenamento asciutto”. Incluso in questa specie di cross training c’era anche la corsa.
Negli anni a seguire ha conosciuto suo marito e con i tre figli nati dal matrimonio sono andati a vivere a Long Island. Con più spazio verde intorno, iniziarono a correre, gestendo i figli insieme. Partecipavano le gare locali organizzate dalla New York Road Runners Club e, ad una di esse, si trovarono a sfogliare un giornale con le foto della Boston Marathon nella quale le donne correvano senza pettorale. Nina non ci pensò due volte e cominciò subito a prepararsi. Era il 1969 quando corse quella prima maratona a Boston in compagnia di altre due donne, Sara Mae Berman ed Elaine Pederson. Nina tagliò il traguardo in (circa) 3h46’, tempo che ha potuto indovinare soltanto prendendo nota del numero di qualche maschio con il quale aveva passato la linea d’arrivo. Da quel momento non si è più fermata, correndo ottanta maratone e vincendone ventiquattro, fra cui una volta Boston e due volte New York e ottenendo un cronometro di tutto rispetto: 2:50:22. Quella mattina, al Central Park nel 1972, fu una svolta anche per le sue attività politiche. Dopo la “vittoria” delle partenze, Nina Kuscsik ha continuato a lottare per i diritti delle donne che correvano le lunghe distanze, sino ad arrivare all’inserimento della maratona nel programma Olimpico. Tutto questo da uno scricciolo di ragazza di Brooklyn che amava correre.